Tra scaramanzia e prudenza, in tutte le vigne e fra i filari serpeggia da settimane la stessa idea: che il 2019 sia un’annata storica e da ricordare?

Costante, generosa, senza sorprese (o quasi, non accennate il tema agli amici delle Langhe…), la 2019 è iniziata sotto il migliore degli auspici e contiamo non tradisca le aspettative.

È sempre più difficile strappare un pronostico ai viticoltori italiani: annate calde, anzi caldissime, seguite da andamenti incostanti e imprevisti climatici suggeriscono una prudenza che sconfina nella scaramanzia di altri tempi.

Eppure questa 2019 – così lontana dalla già celebre 2010 e così poco evocativa nel non essere nei numeri l’annata del decennio – si preannuncia buona, buonissima, forse ottima.

I vini italiani primi…per quantità.

Certo, la quantità è un indice significativo e per giunta non in aumento (stimata fra il 7 e il 10% in meno rispetto all’anno precedente), per buona pace di chi vi scrive e combatte da anni con l’inevitabile passatempo giornalistico di addetti ai lavori e appassionati, sempre più ossessionati dalle classifiche di produzione.

Ma gioite o voi enowebbisti, blogger del tappo e follower del calice: siamo in testa ad una delle più inutili nonché più postate, ripostate e cliccate classifiche enologiche.

Ebbene si, il primato della produzione mondiale è nostro: linfa vitale per sovranisti enologici ed haters del Roquefort e dei cugini enologici d’oltralpe.

E già, come se ci giocassimo il primato della cultura internazionale analizzando la quantità di libri, opere e film sfornati da una nazione e non il peso specifico e l’impatto che hanno e avranno sul nostro pensiero e la nostra società.

Purtroppo l’Italia ha si un primato: quello del valore medio tra i più bassi fra i produttori più importanti mondiali.

Esportiamo quasi la metà della Francia che – aspetto cruciale – inoltre sa valorizzare i propri prodotti in modo eccellente: oltre il + 50% di valore medio sui vini bianchi e quasi il + 20% sui vini rossi rispetto alle nostre amate creazioni enologiche.

Il vino italiano: ritorno al futuro.

Sarà arrivato forse il momento di giocarci la Dune buggy enologica non a birre e salsicce, ma mettendo in campo competenze e professionalità in ambito comunicazione, marketing ed enoturismo?

Perché gli anni passano, le annate interessanti si susseguono, ma il movimento enologico italiano nel suo complesso assomiglia troppo ad una Ferrari progettata da artisti del motore, ma affidata a degli amatori.

E la qualità si costruisce a 360°, in ogni ambito della filiera del settore.

Ad maiora!